Gli insegnamenti contenuti nei Sutra includono tre grandi categorie di insegnamenti risalenti a Shakyamuni, il Buddha storico. Questi furono dati principalmente in tre luoghi e momenti diversi, in relazione alle diverse inclinazioni dei discepoli a cui questi insegnamenti si rivolgevano. Ciò è conosciuto come “I tre giri della ruota del Dharma”.
Il primo giro della ruota del Dharma: le quattro nobili verità
- Il primo insegnamento conferito dal Buddha dopo l’illuminazione a Sarnath, nel parco dei daini, fu quello delle quattro nobili verità, in cui sono racchiusi tutti i principi fondamentali del Buddhismo e la cui struttura ci aiuta a comprendere bene l’idea generale di tutte le varie forme di Buddhismo.La nobile verità della sofferenza: Nella vita siamo tutti soggetti alla sofferenza, e nessuno se ne può liberare definitivamente. La sofferenza ha diversi livelli, innanzitutto questa include tutte le forme di disagi e difficoltà che conosciamo bene, come il dolore fisico e mentale, le varie forme di paure, le depressioni, le ansie, le insicurezze, le calamita che ci toccano e così via. Esistono poi forme più sottili di sofferenza, come l’aspetto dell’impermanenza di tutte le cose, in questo senso non possiamo in realtà tenerci nulla, tutto passa e piano piano svanisce. Questo vale per le cose materiali, per le relazioni coi nostri cari e per la nostra stessa vita. Un ulteriore aspetto della sofferenza concerne il fatto che siamo condizionati e quindi subiamo le circostanze, spesso senza nessuna possibilità di sottrarci ad esse, ciò implica che non siamo veramente liberi ed anche ciò è sofferenza. La prima cosca che il Buddha ci dice è di riconoscere a fondo la sofferenza che, in un modo o nell’altro, ci accompagna continuamente.
- La nobile verità della causa della sofferenza: Perché siamo soggetti alla sofferenza? Le varie filosofie e religioni si sono interrogate molto su questo punto, il Buddha da una sua chiara risposta: in essenza la sofferenza proviene dall’ignoranza fondamentale, dalla quale sorgono le afflizioni mentali, che ci spingono ad agire in modo poco salutare per noi e per gli altri. L’ignoranza fondamentale è l’identificazione con l’io dovuta alla percezione dualistica io-altro. Noi ci identifichiamo con questo io e ci riteniamo un’entità separata da tutto il resto. Ciò ci porta naturalmente ad avere attrazione verso tutto ciò che sostiene il nostro io e repulsione verso tutto ciò che potenzialmente lo minaccia. Queste sono le due polarità di base dell’attaccamento e dell’avversione. Da qui tutte le altre afflizioni mentali come la rabbia, la gelosia, l’orgoglio e così via. In altre parole, la nostra percezione distorta della realtà ci fa essere sotto il potere delle emozioni distruttive e ciò ci fa agire in modo dannoso sia per noi stessi che per gli altri. Questo è secondo il Buddha il meccanismo che ci incatena alla sofferenza ed egli ci esorta: La causa della sofferenza deve essere abbandonata!
- La nobile verità della cessazione della sofferenza: Non siamo condannati per l’eternità alla sofferenza, il Buddha afferma con convinzione che è possibile eliminare definitivamente la sofferenza, così come l’ignoranza fondamentale e le varie afflizioni mentali. Il Nirvana non è altro che questa condizione completamente libera dal dolore e dalla percezione distorta della realtà. Egli ci dice: Il Nirvana deve essere realizzato!
- La nobile verità della via che conduce alla cessazione della sofferenza: Nessuno può liberarci dalla sofferenza e dalle ignoranze, in questo senso il Buddha non può fare niente per noi. Tuttavia, la liberazione è nelle nostre mani, dipende fondamentalmente da noi. Si tratta di praticare la via, ossia coltivare i vari fattori del sentiero che ci permettono gradualmente di crescere e di realizzare infine il Nirvana. Non esiste un metodo uguale per tutti inquanto siamo tutti diversi, abbiamo le nostre qualità e i nostri difetti specifici e siamo ispirati da cose diverse, quindi ci sono approcci diversi, vie diverse, per arrivare alla stessa meta. In altre parole, il Buddha ha indicato molte vie possibili, proprio per andare incontro alle varie inclinazioni individuali, il punto è: la via deve essere praticata, qualunque essa sia. Possiamo indicativamente dire che a prescindere dal sentiero che decidiamo di percorrere questo deve includere i tre fattori principali della via.
Il secondo giro della ruota del Dharma: la perfezione della saggezza
Nel secondo grande ciclo di insegnamenti conferito a Rajgir, sul picco dell’avvoltoio, il Buddha introduce il profondo tema della perfezione della saggezza. Se gli insegnamenti sulle quattro nobile verità hanno dato origine alle scuole Buddhiste antiche, in questa seconda fase nascono le tradizioni del Mahayana. La prima peculiarità del Mahayana è una nuova motivazione che spinge a coltivare il sentiero verso l’illuminazione, qui non conta tanto liberare sé stessi dal dolore, ma piuttosto aiutare gli altri a giungere alla felicità definitiva. L’amore, la compassione e l’altruismo sono il cuore di questo approccio e l’ideale del Bodhisattva, colei o colui che rinuncia a tutto, persino al Nirvana, per il beneficio altrui, è la figura da emulare in questo sistema.
La seconda caratteristica che contraddistingue il Mahayana sono le concezioni filosofiche, infatti, coi Sutra della perfezione della saggezza siamo introdotti alla vacuità ultima di tutti i fenomeni, che, con l’elaborazione dell’idea del sorgere interdipendente, è il nocciolo filosofico di questo approccio. La scuola filosofica della via di mezzo, di cui il grande saggio indiano Nagarjuna è il fondatore, e che ha influenzato molto il pensiero buddhista, si basa proprio su questi due principi: vacuità ed interdipendenza. Tutti i fenomeni sono interdipendenti, dipendo gli uni dagli altri, e quindi nulla esiste in sé, ossia in modo indipendente, questa è la vacuità, e ciò implica anche che tutto esiste solo in quanto relazione; noi, gli altri, l’universo siamo relazione. Comprendere veramente ciò ci porta ad essere più attenti e rispettosi poiché riconosciamo finalmente il rapporto che ci unisce agli altri e all’ambiente, e capiamo così che l’unico modo per arrivare al benessere implica rispettare gli altri e l’ambiente, proprio perché siamo relazione, e quindi, se danneggiamo gli altri e l’ambiente stiamo in realtà agendo contro noi stessi. Capiamo così che “vacuità” non significa “il nulla” o “l’indifferenza” ma piuttosto l’opposto, è infinità potenzialità e relazione.
Nagarjuna disse a questo proposito:
Là dove la vacuità è possibile, tutto è possibile,
là dove la vacuità non è possibile, nulla è possibile.
E il Sutra del cuore insegna:
La forma è vacuità e la vacuità è forma,
la vacuità non è altro che forma e la forma non è altro che vacuità;
lo stesso vale per la sensazione, la percezione, le formazioni mentali e la coscienza.
Il terzo giro della ruota del Dharma: la natura di Buddha
Nel terzo ed ultimo ciclo di insegnamenti il Buddha elabora un altro dei grandi temi delle tradizioni Mahayana, quello della natura di Buddha, o Tathagatagarbha. L’assoluto è da sempre la nostra natura originaria, in altre parole siamo primordialmente puri e perfetti, la nostra natura è, appunto, il Buddha. Questo significa che il Buddha effettivo non è un essere esterno da venerare o da seguire, ma è l’illuminazione inerente dentro di noi. Il problema è che non riconosciamo ciò, pensiamo di essere qualcosa di diverso da ciò che siamo veramente, e siamo confusi e oscurati dall’ignoranza fondamentale e dalle emozioni distruttive, fattori che ci impediscono di riconoscere ciò che é. Ciò significa anche che l’illuminazione non è qualcosa da ricercare al difuori da sé stessi, in un’altra dimensione più spirituale o pura di questa, e che lo stato di Buddha non può essere prodotto dai nostri sforzi.
Secondo il Buddhismo tutti gli esseri senzienti possiedono la natura di Buddha, che siano donne o uomini, atei o credenti, insetti o animali, esseri divini o diabolici. Vediamo allora brevemente due grandi metafore con sfumature diverse per illustrarla: il seme e il diamante.
Il seme
La natura di Buddha è come un seme che possiede inerentemente la potenzialità per diventare, ad esempio, un bellissimo fiore. Nel guardare al seme, non vediamo il fiore e, se non fossimo introdotti al fatto che quel seme può effettivamente diventare un fiore, mai potremmo immaginarcelo, e quindi, nonostante abbiamo tra le mani la possibilità di avere un bellissimo fiore, il fiore non vedrebbe mai la luce, ci rimarrebbe completamente nascosto. Solo se qualcuno di esperto ci dicesse che si tratta di un seme di un bellissimo fiore, e ci spiegasse che nel metterlo nella terra fertile, occupandoci con cura di lui, annaffiandolo e facendogli avere la giusta luce, prima o poi, se tutte le cause e le condizioni sono in armonia, il fiore non potrà che sbocciare – ci prenderemmo l’impegno di far crescere quel seme.
Lo stesso vale per la natura di Buddha, il potenziale sublime in noi ci rimane celato, abbiamo quindi innanzitutto bisogno di esserne introdotti da qualcuno che ne ha esperienza, come il Buddha, e se poi decidiamo di crederci – potremmo ovviamente anche non crederci, come potremmo benissimo non credere che in un piccolo seme duro e nerastro vi sia un delicato e soffice fiore dai strabilianti colori – allora dovremmo anche renderci conto che per sviluppare il potenziale sublime è necessario assicurarsi di procedere nel modo corretto, di creare tutte le cause e le condizioni appropriate affinché possa crescere, in quando, esattamente come per il fiore, basta un nulla affinché forze avverse ne impediscano lo sviluppo.
Il diamante
La natura di Buddha è come un preziosissimo diamante grezzo nella roccia, originariamente puro e perfetto per natura, ma non visibile dall’esterno. Potremmo addirittura averlo tra le mani senza neppure saperlo, e magari essere dei poveracci. Al diamante non manca nulla, non sta a noi renderlo puro e prezioso, si tratta solo di eliminare gli strati di roccia e gli altri minerali che lo ricoprono, preoccupandoci di eliminare anche gli strati più sottili, e allora tutti i suoi carati brilleranno naturalmente.
Lo stesso vale per la natura di Buddha, ad essa non va aggiunto niente, si tratta di eliminare ciò che la ricopre e le impedisce di manifestarsi in tutta la sua purezza e luminosità. La coltre di roccia che ricopre il diamante rappresenta quelli che vendono chiamati i due oscuramenti: quelli grossolani, ossia le afflizioni mentali; e quelli sottili, ossia le ostruzioni all’onniscienza. Innanzitutto, si tratta di lavorare sugli aspetti più esteriori e grossolani, come la roccia che racchiude il diamante, che sono appunto le afflizioni mentali, chiamate klesha, e che includono le varie forme di ignoranza, l’attaccamento, l’avversione, la gelosia, l’orgoglio, l’avarizia e così via. Praticando la via è effettivamente possibile eliminare definitivamente queste emozioni distruttive, ed è solo a quel punto che incontreremo ed avremo a che fare con gli oscuramenti più sottili, paragonabili agli strati sottili che vanno minuziosamente eliminati dal diamante una volta che gli stradi di roccia più spessa sono stati tolti. A questo punto il diamante è già visibile, ma bisogna ancora raffinarlo. Allo stesso modo, una volta eliminate le afflizioni mentali saremo in grado “vedere” la natura di Buddha, anche se l’esperienza di essa andrà ulteriormente raffinata e stabilizzata eliminando gli oscuramenti all’onniscienza, come ad esempio le sottili designazioni concettuali.
Dall’ Uttaratantra di Maitreya, il testo di riferimento per gli insegnamenti sulla natura di Buddha:
La sua natura è senza inizio, centro, o fine;
perciò la Buddhità è increata.
Dato che possiede il pacifico Dharmakaya,
viene descritta come essere “spontaneamente presente”.
Dato che deve essere realizzata attraverso la consapevolezza di sé,
non è una realizzazione dovuta a condizioni estranee.
Nello stesso testo si parla di quattro grandi paradossi:
La natura di Buddha è pura e tuttavia con afflizioni.
L’illuminazione non era afflitta e tuttavia é purificata.
Le qualità sono completamente indivisibili e tuttavia non apparenti.
L’attività è spontanea e tuttavia priva di qualsiasi pensiero.